Reportage di vita o di guerra?
E’ il pomeriggio del 30 Dicembre 2014, il mondo si accinge a salutare il 2015, con fermento per seppellire quanto è stato. Mancano meno di 24h all’ultimo giorno dell’anno e per un caso più o meno fortuito io sono a L’Aquila.
E’ un pomeriggio fresco con il cielo terso e limpido, talmente limpido da riuscire a contare le creste dei gruppi montuosi che circondano il capoluogo Abruzzese.
Ero stato a L’Aquila una settimana prima del sisma, di notte, per una pizza al volo, nessun ricordo di allora.
E’ il 30 Dicembre e le città brulicano di passi affrettati per i cenoni, qualche regalo ritardatario e i mercatini illuminano i centri storici. Ma è evidente che non mi trovo in una città qualunque.
Inizio la salita incrociando pochissime anime sui miei stessi passi, solo 2 turisti. C’è il sole, fa un freddo boia e sembra di essere a Sarajevo, immersi in un’atmosfera irreale, ferma e stantia. Rovine e odore di intonaci umidi, in questo enorme cantiere.
C’è silenzio tutto intorno, continuo a credere di essere in un paese in guerra e mi avventuro dentro qualche appartamento, tutto è polvere capovolta. Per il momento l’unico segno di vita degno di nota è un pagina di un quaderno a quadretti, trovato in chiesa, l’unico immobile perfettamente sano e fresco di ristrutturazione. Nessun puntello.
A tratti l’abbandono ha preso il sopravvento, fornendo alla natura una marcia in più per riconquistare quanto le era stato tolto dall’uomo. Non riesco a capire se si tratti di un polo universitario o un convento, ma la vegetazione la fa da protagonista in quello che ricorda uno scenario cinematografico da “Io Sono Leggenda”.
Mi avvicino al centro, trovo diverse vie principali bloccate, i passaggi sono obbligati, fa una certa impressione camminare e arrivare davanti a vicoli ciechi che non dovrebbero essere tali.
Risuona il frastuono dei martelli pneumatici, ma continuo a non vedere nessuno.
Sotto un castello di impalcature incrocio qualcuno, va di fretta e non alza lo sguardo.
Finalmente arrivo in piazza. Sparute bancarelle semichiuse, puntelli e cantieri. Il pavimento è spaccato. Un cane scuro di dimensioni generose mi viene incontro, ma è tutto pelo e niente arrosto, meglio così.
La città universitaria è bloccata, non riesco ad immaginare neanche lontanamente quando il tempo ce la ridarà indietro.
Aldilà di un loggiato un mimo fa volteggiare palline di gomma, in assoluta solitudine. Si gode l’ultimo sole.
proseguo il giro e trovo un caffè. E’ tempo per una cioccolata calda, fuori è umidissimo e un po’ di calore umano non fa male.
E tempo di tornare, trovo finalmente diversi ragazzi del posto leggermente fuori dal centro e poi la vista torna sui cantieri, le gettate di cemento, i crepacci. Una signora mi indica una via più veloce per tornare alla mia auto e ci tiene a precisare che lei è Aquilana “Sa, io sono proprio nata qui”.
Gli orgogli sono feriti e tutto è al contrario.
Talmente al contrario che c’è bisogno di specificare che la casa è abitata, affiggendo un cartello.



































